Fonte: JuraNews
Il concetto di detenzione, seppur derivante dall’istituto civilistico nel quale indica, quanto meno nell’accezione originaria, il potere di gestione su una res in capo a chi ne abbia il godimento con la consapevolezza che si tratti, a differenza del possesso che si identifica nell’esercizio di un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà o altro diritto reale, di un bene altrui (animus detinendi), è stato mutuato dal legislatore penale con riferimento al solo elemento materiale ovverosia, prescindendo integralmente dall’animus, nella mera accezione della disponibilità materiale di un bene, e dunque in termini della sua sostanziale fruibilità.
Ciò nondimeno anche in campo civilistico i concetti di possesso e di detenzione hanno subito una progressiva trasformazione con la crescente divulgazione, attraverso il web e grazie all’impatto delle nuove tecnologie sul mercato, dei beni cd. immateriali che, se nell’impianto codicistico originario erano limitati alla sola energia elettrica, equiparata a tutti gli effetti ad una res e, come tale, suscettibile di apprensione ed in termini analoghi considerata dal Codice Rocco come oggetto di furto, si è estesa a macchia di leopardo al fine di regolamentare soprattutto i nuovi fenomeni propri della cd. realtà virtuale: basti pensare in via soltanto esemplificativa al mercato delle criptovalute, quale forma di finanza parallela, o nel campo delle opere artistiche agli NFT (“not fungible token” riferiti alla copia digitale dell’opera acquistata) o, ancora, alle onde elettromagnetiche o ai canali di trasmissione dei programmi radiotelevisivi.
Muovendo dalla constatazione che i beni immateriali non sono per la loro stessa natura suscettibili dell’uso esclusivo sui cui si fonda la disciplina della detenzione e del possesso, è invalsa la tesi, patrocinata dalla dottrina civilistica prevalente, che, nella convinzione che anche per essi sia nella realtà fenomenica configurabile il loro godimento ed utilizzazione, rifiuta l’assimilazione dei diritti assoluti su beni immateriali ai diritti reali, ritenendone ammissibile il possesso se utilizzati da soggetto che, pur non essendo degli stessi titolare, si comporti semplicemente come tale.
Spostando i termini della questione nel campo strettamente penale, va osservato che i file, lungi dal poter essere definiti entità astratte attesa la loro consistenza fisicamente tangibile sol che si consideri l’unità di misura che li contraddistingue, volta a quantificare lo spazio fisicamente occupato all’interno di un server, condividono tuttavia con i beni immateriali la caratteristica di poter essere utilizzati da più soggetti anche contemporaneamente senza che l’esercizio dell’uno impedisca quello degli altri.
Deriva da queste stesse premesse la necessità di ampliare, in conformità all’evoluzione delle tecnologie e delle correlate condotte correnti, il concetto di detenzione sganciandolo dalla relazione materiale con la res intesa in termini strettamente fisici e spostandone, invece, il fulcro su quella che ne è la sua stessa ontologica essenza, costituita tanto ieri quanto oggi dalla fruibilità della res in termini non solo concreti, ma anche potenziali, che prescindono cioè dall’utilizzo effettivo.
Il che ha portato già questa Corte ad estendere, proprio ai fini dell’individuazione della condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600-quater, primo comma, cod. pen., la detenzione di file di contenuto pedopornografico alla condotta di chi aveva immesso ed archiviato i suddetti file sul cloud Storage di un sito associato al suo indirizzo email, cui poteva liberamente accedere attraverso credenziali di accesso esclusive o comunque note a chi le utilizzi (Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 19/01/2023): ricostruzione questa che ha il pregio di individuare con rigorosa certezza il concetto di fruibilità incondizionata nel tempo e nello spazio posto alla base della condotta di detenzione, svincolata dal trasferimento del suddetto materiale in dispositivi nel materiale possesso dell’imputato, ma che necessita di talune precisazioni affinché possa assurgere a metro di valutazione in fattispecie parzialmente diverse dal caso esaminato nella massima citata in cui il responsabile della condotta criminosa era lo stesso soggetto che aveva materialmente provveduto alla memorizzazione dei file in un archivio dal medesimo accessibile in via esclusiva.