Fonte: JuraNews
L’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso.
Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente (Cass., SU, n. 735/15).
Nei casi di occupazione usurpativa o acquisitiva, il proprietario, che abbia implicitamente rinunciato alla proprietà del bene proponendo domanda risarcitoria per equivalente, ha diritto all’integrale ristoro del danno, che ricomprende non solo la perdita del godimento del bene nel periodo di occupazione illegittima, ma anche quella relativa all’integrale valore dello stesso, in quanto una implicita conformazione della proprietà privata non è desumibile dall’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, il cui disposto, fino a quando non venga esercitato dalla P.A. il relativo potere acquisitivo, non è idoneo a paralizzare i comuni rimedi civilistici attribuiti dall’ordinamento al proprietario (Cass., n. 18142/22).
L’illecito permanente, che si configura sia in ipotesi di occupazione acquisitiva sia in ipotesi di occupazione usurpativa, cessa in caso di rinunzia del proprietario al suo diritto, rinunzia implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente; tale danno va quindi ristorato con riferimento al valore del bene al momento della domanda, che segna, appunto, la perdita della proprietà (Cass., n. 12961/2018).