Il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi

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L’art. 8, comma 4, l. n. 212 del 2000, che impone all’Amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle fideiussioni richieste dal contribuente per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha natura immediatamente precettiva, attribuendo al contribuente un diritto soggettivo perfetto a tutela della sua integrità patrimoniale, a prescindere dell’emanazione dei decreti ministeriali d’attuazione, e ricomprende anche i costi delle fideiussioni stipulate prima della sua entrata in vigore (Cass., 5 agosto 2015, n. 16409).

Nel corpo della motivazione del richiamato precedente, a fronte del dubbio se la suddetta disciplina non afferisse alle ipotesi dei rimborsi richiesti ai sensi dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, perché di natura facoltativa, si è chiarito che

«la norma comprende i costi di tutte le fideiussioni che il contribuente ha richiesto, dovendosi chiaramente intendere l’espressione “ha dovuto richiedere” non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo in tal senso, bensì con riferimento alla necessità (onere) della richiesta della fideiussione in rapporto allo scopo perseguito (ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso)».

È stato ulteriormente chiarito che il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha portata generale ed è indipendente dalla fisionomia della controversia tributaria, stante l’esigenza ad essa sottesa di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, in caso di infondatezza della pretesa impositiva o di legittimità della pretesa di rimborso di somme dovute, che una diversa interpretazione frustrerebbe, oltre a porsi in contrasto con il diritto unionale [Cass., 28 febbraio 2020, n. 5508, nella quale si chiarisce che «una diversa opzione in effetti frustrerebbe l’esigenza presidiata dalla disposizione di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima pretesa al rimborso di somme dovute, e, per conseguenza, rischierebbe di entrare in frizione col diritto unionale.

E ciò in base al consolidato orientamento della Corte di giustizia, in base al quale gli Stati membri indubbiamente dispongono di una certa libertà quanto alla determinazione delle modalità di rimborso dell’eccedenza di iva, purché, però, il sistema di rimborso adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Corte giust. 28 febbraio 2018, causa C- 387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C-254/16, Glencore Agriculture Hungary, punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok 3, punto 33)», soggiungendo significativamente, ancora, che «Il sistema italiano dei rimborsi iva, d’altronde, ha indotto la Commissione europea a promuovere nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione (la n. 2013/4080), giusta allo stadio della messa in mora ex art. 258 del TFUE»].

Fonte: JuraNews