Indirizzo di residenza: i limiti del trattamento da parte di un soggetto pubblico

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Fonte: JuraNews

La prima sezione civile della Corte di Cassazione ha ricordato, con una recente pronuncia, che l’indirizzo di residenza è un dato personale, poichè rende un soggetto identificato o identificabile.

Il caso oggetto di esame da parte della Suprema Corte nell’ordinanza dell’8 agosto 2024, n. 22449, riguarda una richiesta di certificato collettivo, senza previa identificazione dei soggetti interessati, presentata al Comune di Nuoro per uso processuale.

Il ricorrente per cassazione ha inizialmente convenuto in giudizio, innanzi al giudice di pace di Nuoro, la Prefettura e il Comune di Nuoro per sentir dichiarare che egli ha diritto ad ottenere un certificato di residenza “dei soggetti residenti all’indirizzo di via … a Nuoro” per uso processuale. Il certificato gli era stato negato dal Comune perché rivolto ad accertare la residenza di più soggetti e non di un soggetto determinato previamente identificato. Il Prefetto, adito ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 223/1989, aveva confermato la decisione del Comune. Gli enti convenuti hanno eccepito alla prima udienza la incompetenza del giudice adito, indicando la competenza del Tribunale di Nuoro. Il giudice di pace ha accolto l’eccezione e ritenuto sussistente la competenza del Tribunale. Il ricorrente ha proposto regolamento di competenza dinanzi alla Cassazione, deducendo la violazione dell’art. 7 c.p.c..

La Corte di Cassazione, nel confermare la competenza del Tribunale ai sensi dell’art. 9 c.p.c., sottolineando che “il vantaggio che la parte intende conseguire è … non la disponibilità dii una cosa mobile, ma la conoscenza di informazioni, nonché la possibilità di documentare le informazioni medesime“, evidenzia che l’amministrazione pubblica ha rifiutato il certificato perché riguardante soggetti non previamente identificati, ritenendo che la richiesta sia stata avanzata fuori dai casi consentiti dagli artt. 33 e 34 del D.P.R. n. 223/1989 (Regolamento anagrafico della popolazione residente). Per tale ragione la richiesta è stata respinta sia dal Comune che dal Prefetto, adito ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 223/1989.

L’indirizzo di residenza, così come il nome, è un’informazione che rende un soggetto identificato o identificabile e, quindi, secondo l’art. 4 del GDPR (Regolamento UE n. 2016/679) rientra tra i dati personali. 

La Corte ha sottolineato che il trattamento dei dati personali da parte di un soggetto pubblico (nella specie il Comune) è consentito nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti, secondo quanto previsto dall’art. 27, comma 1 della L. n. 675/1996, il quale dispone che “La comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento“.

L’art. 33 del Regolamento anagrafico (D.P.R. n. 223/1989) dispone, quanto ai certificati richiesti da privati che non abbiano finalità di ricerca, “che l’ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia richiesta, previa identificazionei certificati concernenti la residenza, lo stato di famiglia degli iscritti nell’anagrafe nazionale della popolazione residente, nonché ogni altra informazione ivi contenuta”. Pertanto, in questo caso, il rilascio è consentito “previa identificazione” vale a dire quando il richiedente è già in possesso della informazione essenziale alla identificazione della persona, e intende ottenere informazioni aggiuntive (residenza, stato di famiglia).

In conclusione, alla luce di quanto esposto, la Suprema Corte afferma quanto segue:

“Il ricorrente ha chiesto un certificato di residenza collettivo non identificando previamente i soggetti interessati, rifiutato dal Comune, e quindi la controversia tra le parti è focalizzata sulla verifica se a fronte di detta richiesta il Comune abbia correttamente applicato la normativa in ordine al rilascio dei certificati che contengono i suddetti dati personali, e se effettivamente la parte possa ottenere detto certificato.

La causa ha ad oggetto il diritto all’informazione richiesta, il trattamento di dati personali e la regolarità dell’attività amministrativa in merito, e non certo un “bene mobile” della cui spettanza si discuta; quanto alle informazioni, e al documento che le racchiude, la causa è in ogni caso di valore indeterminabile, perché riguarda informazioni sui dati personali, che sono beni extra commercium, cui non si può attribuire un controvalore monetario, essendo peraltro relativi a un numero indeterminato di soggetti.

Pertanto la causa è di competenza del Tribunale ai sensi dell’art 9. c.p.c..”